Più di qualsiasi altra decade, gli anni '80 in Giappone hanno rappresentato la svolta per l'intero Paese dal punto di vista commerciale raggiungendo l'apice del benessere economico e diventando di fatto una potenza mondiale. Dai tempi difficili fatti di ristrettezze del secondo dopoguerra, il Sol Levante dimostrò di primeggiare in una moltitudine di settori, primo fra tutti quello della tecnologia.
L'Esposizione Universale tenutasi nella prefettura di Osaka nel 1970 fu uno degli eventi con maggiore affluenza al mondo, ponendo così il Giappone sotto una nuova luce: non si trattava più di un Paese lontano e sacrificato dai debiti di guerra, ma un nuovo protagonista e competitor su scala globale.
Il Giappone dunque si mise in competizione con l'Occidente: da una parte ne assorbì usi e costumi, dall'altra iniziò a proporre una identità nuova e propria attraverso forme artistiche.
Preambolo
Durante i primi anni '70 si posero le basi stilistiche di quello che poi è stato definito come "concettuale" durante il boom degli anni '80 e che, inoltre, fu la base creativa e filosofica di per Martin Margiela a partire dal 1979 e l'anno successivo per i "sei di Anversa".
Il primo stilista di grande successo fu Kenzō Takada: dopo gli studi di moda a Tokyo, si trasferì a Parigi e nel 1970 presentò la sua prima collezione al Vivienne Gallery che ebbe un enorme successo, tanto da potergli permette di aprire la sua prima boutique Jungle Jap. L'anno successivo i suoi lavori apparirono su Vogue America ed il mondo ne apprezzò l'estro giocoso, fusione contrastante tra Oriente e Occidente composta da stampe animalier e forme voluminose.
Kenzō fu un punto di riferimento per la moda giapponese in Europa fino al 1999, anno della sua uscita dalla scena, poco dopo avere lanciato la fortunata linea profumi (il marchio tuttavia esiste ancora oggi).
Kansai Yamamoto tra il 1972 ed il 1973 divenne celebre per i costumi ideati per lo Ziggy Stardust Tour di David Bowie. Nel 1975 fece il suo debutto a Parigi, dove due anni più tardi aprì la sua boutique. Continuò nel tempo la sua collaborazione con Bowie, per cui realizzò numerosi kimono. Nel 2018 lavorò con Louis Vuitton per la realizzazione di stampe e patterns ispirati al teatro Kabuki.
Issey Miyake è stato probabilmente il primo stilista ad avere espresso un nuovo modo di concepire gli abiti, in maniera destrutturata.
Dopo gli studi in graphic design, lavorò a New York e Parigi. Tornato a Tokyo nel 1970, fondò il Miyake Design Studio. L'anno successivo presentò la sua prima collezione a New York, a cui seguirono le sfilate di Parigi.
Il suo stile profondamente innovativo, caratterizzato da colori cupi e materiali tecnologici (come la sua famosa stoffa plissettata), è stato fondamentale per lo sviluppo della nuova corrente artistica prima giapponese e poi belga degli anni '80.
Junichi Arai è stato il primo grande innovatore e sperimentatore in campo tessile.
Studiò computer, film e metalli partendo a soli 18 anni dall'azienda di famiglia dove venivano realizzati kimono, obi e vestiti da cocktail americani con tessuti metallici e sintetici. Durante gli anni successivi ideò tessuti mai realizzati prima con dei nomi stravaganti come Titanium Poison e Driving Rain.
Il suo incredibile genio fu notato da Issey Miyake e Rei Kawabuko che iniziarono ad utilizzare le sue invenzioni già negli anni '70.
Decostruttivismo e minimalismo
Fino all'inizio degli anni '80, il focus dell'alta moda era concentrato essenzialmente sulle "big four": Parigi, Milano, Londra e New York erano le uniche città che dettavano i canoni estetici e tutto il mondo era rivolto a quelle passerelle per capire cosa indossare. Lo stile imperante era di tipo occidentale e mai prima di quel momento era stato messo in discussione, cambiato o manomesso.
Se da una parte Kenzō Takada ha avuto il merito di essere stato il primo grande stilista giapponese di avere espresso il suo estro fatto di poesia e leggerezza sulle passerelle parigine, fu però la triade composta da Issey Miyake (di cui si è detto prima), Rei Kawakubo e Yohji Yamamoto a rompere totalmente col passato e cambiare definitivamente direzione. Grazie a loro, la regola delle "big four" venne meno e sia Tokyo che Anversa divennero centri di enorme interesse per l'alta moda.
Rei Kawakubo, dopo una laurea in letteratura presso l'Università privata Keio (la stessa frequentata dalla mangaka Naoko Takeuchi), iniziò a lavorare come stilista freelance nel 1967. Due anni più tardi fondò la sua casa di moda Comme des Garçons e nel 1973 aprì la sua prima boutique a Tokyo.
Yohji Yamamoto, dopo essersi laureato in legge sempre presso l'Università Keio, studiò design della moda al Bunka Fashion College a Tokyo e nel 1977 presentò la sua prima collezione ready to wear.
Nel 1981 Yamamoto presentò la sua prima collezione a Parigi. L'anno successivo fu la volta della Kawakubo, spiazzando completamente la critica. I giornalisti definirono la sua collezione Kawakubo "Hiroshima chic".
I loro abiti, al contrario di tutti quelli realizzati in Occidente, venivano meno a tutte le regole di composizione perseguite fino a quel momento perché non servivano più semplicemente a coprire il corpo ma dovevano esprimere un concetto. I vestiti erano diversi nei tessuti (spesso consunti), nei tagli asimmetrici, nell'assenza di decori, nelle forme e nei colori (austeri, principalmente bianco, nero e grigio).
Si iniziò ad usare il termine "decostruttivismo" per indicare quegli indumenti dai volumi insoliti: i capi tradizionali venivano disfatti e riassemblati dando un senso di indipendenza e non di raziocinio occidentale.
Da un punto di vista economico queste collezioni furono semplicemente un disastro. In Europa shockarono la critica, che non li comprese, ma ebbero un enorme successo di fama: questo stile, che in un primo momento fu definito "minimale", divenne la filosofia anti-edonistica adottata in Belgio da designer come Martin Margiela (definito ai tempi dai francesi “la mode Destroy") e successivamente dai "Sei di Anversa" (Dries van Noten, Ann Demeulemeester, Dirk Van Saene, Walter Van Beirendonck, Dirk Bikkembergs e Marina Yee).
Il rimando al Giappone (soprattutto a quello di Rei Kawakubo) lo si ritrova in tutta la filosofia concettuale di Margiela a cominciare dalla sua prima collezione del 1988 in cui presentò le iconiche Tabi shoes, che per molti versi divennero il simbolo della maison.
I tabi in realtà sono una invenzione giapponese risalente al XV secolo, tempo in cui il cotone fu importato dalla Cina e i giapponesi iniziarono a realizzare calze in questo materiale dividendo l'alluce dal resto delle dita dei piedi, in modo da potere indossare le calzature infradito tradizionali.
Rei Kawakubo si fece sostenitrice di una nuova generazione di designer emergenti che abbracciavano quell'approccio non convenzionale, sponsorizzando Junya Watanabe e Undercover.
Il suo merito fu anche quello di approcciarsi alla fotografia di moda in prima persona: dal 1988 al 1991 pubblicò sulla rivista SIX, da lei ideata e curata dal suo collaboratore Atsuko Kozasu. Nel magazine furono pubblicate fotografie in bianco e nero che rappresentavano l'estetica del brand senza l'utilizzo di parole. Gli scatti vennero realizzati da fotografi illustri quali Peter Lindbergh, Bruce Weber e Kishin Shinoyama. Alcuni di loro immortalarono in ritratti senza tempo anche gli abiti della Kawakubo.
Karasu zoku
Il decostruttivismo può essere interpretato come una controcultura della moda alta. Esso ha avuto un impatto enorme non solo in Europa ma ha messo in discussione i valori estetici (ed etici) anche in Giappone. Questo aspetto fu lampante dopo le sfilate parigine di Yohji Yamamoto e Rei Kawakubo nel quartiere Omotesandō, dove prese piede una corrente che si sviluppò per tutta la decade: il karasu zoku (letteralmente "gruppo di corvi"). Non a caso, sulla copertina del numero 4 di SIX del 1989 vi era proprio un corvo.
Ne facevano parte soprattutto le donne, che giravano per le strade vestite con abiti oversize e total black (in diverse gradazioni) che creavano una silhouette androgina. A completare il look, make up di ispirazione new wave (smokey eyes) e capelli lisci possibilmente con la frangia corta.
L'idea era quella di ricreare in ogni dettaglio gli outfit proposti da Yamamoto e dalla Kawakubo e, chi poteva permetterselo, sfoggiava pezzi originali di Comme de Garçons.
Questa tendenza, proprio perché interpretata soprattutto dalle donne, è stata intesa come una rivolta contro la concezione stereotipata della casalinga giapponese devota al marito. Il karasu zoku è stato paragonato dalla critica al movimento punk inglese (qui per un approfondimento sul punk inglese e la moda): negli anni '80 la new wave si differenziava dal post punk (sempre di quegli anni, di cui si ricordano i dark-punk Siouxsie and the Banshees) per sonorità più vicine al pop ed un look ricercato e raffinato, rappresentato da numerose band come New Order, XTC, The Stranglers, The Cure.
Kote Kei
Durante gli anni '80 si posero anche le basi per lo sviluppo di quello che negli anni '90 sarà indicato come visual kei, ovvero l'appartenenza alla scena musicale rock giapponese. Il kote kei ne è stato lo stile antesignano: sull'onda della new wave e della musica dark degli anni '80, gli appartenenti a questa frangente sfoggiavano un look con rimandi al punk. al glam rock e al dark. Indossavano abiti in pelle, borchie, fibbie e portavano i capelli cotonati, rimando all'hair metal (Bon Jovi, Europe e Aerosmith) e a Robert Smith.
Otome, Kawaii, Idol
Gli stili degli anni '80 in Giappone sono stati influenzati sia dalla musica che dalle riviste di moda.
Nel 1982 la casa editrice Magazine House lanciò la rivista Olive in cui definì lo stile otome grazie alle proposte della stilista giapponese Tsumori Chisato - dopo avere frequentato il Bunka Fashion College, la Chisato nel 1977 lavorò per Issey Miyake prima di lanciare il suo brand personale nel 1990. Il suo stile è famoso per le stampe colorate ispirate al mondo dei manga e all'arte contemporanea.
Lo stile otome (traducibile con "maiden"), rappresentato principalmente dal brand Pink House (il cui stile in un secondo momento verrà definito natural kei), rimandava a una moda francese (non a caso si sviluppò dopo le sfilate a Parigi) antica e semplice, fatta di pizzi, fiocchi e merletti, colori tenui come le nuances pastello, richiami vintage, gonne lunghe e scarpe Oxford o mary jane. Ebbe un grandissimo successo tra le ragazze delle superiori.
Tutti i motivi dell'otome rappresentano la base dello stile lolita degli anni '90 e del kawaii - termine giapponese che significa "carino", "adorabile" e che a partire dagli anni '80 diventa una vera e propria sub-cultura che riguarda modi di parlare e di vestire infantili ma anche personaggi di manga, anime e videogiochi.
Non è un caso, quindi, gli che gli anni '80 sono considerati gli anni d'oro delle idol, ovvero delle adolescenti incredibilmente popolari nel mondo dello spettacolo. Le idol sono cantanti, ballerine, attrici, hanno un aspetto dolce e kawaii e hanno un pubblico prevalentemente maschile.
Questo fenomeno nacque negli anni '70 a partire dal film arrivato in Giappone Chercher l'Idole (1963), tradotto col titolo Aidoru o sagase (アイドルを探せ). Successivamente, grazie alla musica J-Pop e i numerosi programmi televisivi, le idol furono oggetto di vero e proprio fanatismo, diventando inoltre oggetto di anime e manga come L'Incantevole Creamy (1983), Magica Emi (1985) e poi in tantissimi prodotti di successo degli anni '90 come Fancy Lala (1998), Rossana - Il giocattolo dei bambini (1994), Sailor Moon (1991), ma anche film come Suicide Club (2002) e Perfect Blue (1997).
Preppy
Come già rimarcato nell'introduzione, gli anni '80 in Giappone sono stati caratterizzati dal benessere economico e questo lo si poteva e doveva rimarcare anche attraverso l'abbigliamento. Una grossa fetta di giovani, sopratutto universitari, adottò un abbigliamento elegante e casual di matrice statunitense, detto preppy. In Giappone è considerato una categoria della macro-area ametora ("American Traditional", termine utilizzato soprattutto per indicare il preppy ma, in generale, modo di vestire giapponese che emula lo stile americano, inglese o occidentale in generale).
In realtà il preppy nacque negli Stati Uniti, dove indicava la sub-cultura associata ai giovani ricchi che si preparavano ad entrare nelle scuole preparatorie per accedere alle antiche e prestigiose università americane: da qui il termine "prep" ovvero "private university" o "preparatory school". Non si trattava solamente di capi di abbigliamento, ma uno stile di vita privilegiato fatto di modi di parlare e di atteggiarsi.
In America, le origini del preppy risalgono al modo di vestire della Ivy League degli anni '10. Da quel momento in poi lo stile fu definito da brand come J. Press e Brooks Brothers, i cui negozi erano all'interno dei campus della Ivy League come Yale, Princeton e Harvard.
Negli anni '70 lo stile Ivy League fu comune anche tra i giovani inglesi che conducevano una vita agita e sportiva, fatta di gite in barca e partite di golf e lacrosse: per questo motivo lo stile si arricchì di motivi a righe e plaid, abbigliamento di tipo equestre e accessori a tema nautico. Gli anni '80 son stati caratterizzati invece da brand come Ralph Lauren e Lacoste.
Lo stile preppy arrivò in Giappone attraverso l'interpretazione di Kensuke Ishizu, il vero e primo traghettatore della moda occidentale nel paese del Sol Levante. Egli fu sia il fondatore del brand VAN (di cui ebbe enorme fortuna la serie di giacche e felpe), sia l'ideatore dello stile Ivy League giapponese.
Negli anni '80 iniziarono a girare numerose riviste straniere che sponsorizzavano lo stile preppy e che furono fonte d'ispirazione per i giovani universitari. Tra le più lette si ricordano Take Ivy (libro di fotografia di moda degli studenti della Ivy League degli anni '60) e The Official Preppy Handbook (guida umoristica allo cultura nordamericana definita "prepdom"), mentre nel 1982 in Giappone divenne celebre la rivista Cancam, così come anche Popeye.
I ragazzi giapponesi iniziarono così ad indossare camicie, cardigan, giacche eleganti, bomber, magliette polo e scarpe di pelle.
Lo stile preppy giapponese non rimase all'interno delle mura di Tokyo ma divenne celebre anche tra i giovani benestanti di Kobe e Nagoya con nome di new tora (dall'inglese "new traditional") grazie alla rivista An-An. La stessa cosa accadde a Yokohama dove il trend fu nominato hama tora e la rivista di riferimento era JJ.
In queste città lo stile di derivazione preppy fu adottato in modo più maturo soprattutto dalle ragazze, che sfoggiavano look casual e comodi (cardigan, gonne al ginocchi e blazer) impreziositi da accessori di Louis Vuitton, YSL, Fendi, Celine e foulard Pucci. Molte di loro inoltre giocavano a tennis e golf.
Ita kaji
Sull'onda dell'adozione dello stile occidentale, in Giappone vi fu anche dall'ita kaji ("Italian Casual"), lo stile di abbigliamento ispirato all'Italia.
La moda italiana fu interpretata in stile casual con camicie, jeans whitewashed e accessori di alta moda. A concludere il look vi era il modo di atteggiarsi, soprattutto degli uomini, ad affascinanti sex symbol.
La principale rivista di riferimento fu Men's Club.
Bodikon
Dalla seconda metà degli anni '80 ed il raggiungimento del picco massimo di benessere sociale ed economico, i nuovi blocchi generazionali di donne adottano uno stile più maturo e consapevole. Questo trend, che pose le basi per lo shibukaji degli anni '90, è riassumibile nel bodikon ("body conscious"), ispirato soprattutto dal brand Hervé Leger: scelta di abiti mono-colore che sottolineano le forme del corpo, giacche coordinate, decolleté in pelle con tacco medio.
Se all'inizio fu uno stile più conservativo, con la fine degli anni '80 il bodikon divenne più sensuale e legato alla vita notturna dei club. Tra il 1991 e il 1994 la base a Tokyo di questo cambiamento fu la discoteca Juliana’s. Qui si radunavano decine di donne impiegate in ufficio durante il giorno per ballare al suono della Italo house e della hardcore techno e indossando mini abiti in spandex e micro bikini. Si trattò di un cambiamento di stile importante, tanto che gli outfit da discoteca non venivano indossati durante il giorno e le scelte di stile più estreme venivano adottate dalle ballerine professioniste.
Tra i motivi che portarono alla chiusura del Juliana's, che attraeva una quantità di clienti smisurata, vi era proprio il fatto che le donne ballavano quasi nude in mezzo agli uomini.
La frequentazione di club e discoteche era molto in voga dalla seconda metà degli anni '80 in virtù dell'arrivo in Giappone dell'Eurobeat importato da Italia e Germania come colonna sonora dei nightclub ParaPara.